La bauta veneziana

Il Carnevale è la festa in cui tutto è permesso. Celare la nostra identità con un travestimento, nascondere il nostro volto con una maschera, ci permette di entrare piano piano in una situazione di ambiguità ben protetta dall’anonimato. Una condizione che deve avere delle regole condivise da tutti affinché il gioco possa funzionare, e i veneziani lo sapevano bene.

Infatti il Carnevale ai tempi della Serenissima, con le attività e i travestimenti connessi, era ben codificato, più di quanto possiamo immaginare. Nulla era lasciato al caso e il Governo era ben presente, come sempre, per controllare che ogni cosa si svolgesse a beneficio di tutti. C’era molto da guadagnare e la Serenissima giocava bene le sue carte.

La bauta e il Carnevale di Venezia

Venezia sapeva di essere l’unica città con un Carnevale così licenzioso, vivace e provocatorio che attirava chiunque avesse soldi da spendere e voglia di vivere situazioni fuori dall’ordinario. Non solo nelle feste dei palazzi ma soprattutto nei ridotti, le sale da gioco presenti ovunque in città.   

Il più antico di questi gestito dallo Stato era quello di palazzo Dandolo, dove ricchi giocatori, non solo veneziani ma anche stranieri, osavano oltre ogni limite puntando grosse somme sui tavoli da gioco proprio perché si sentivano tutelati dall’anonimato della maschera, che non a caso era obbligatoria. Così, nel caso di grosse perdite, potevano salvare almeno la dignità.

Ed ecco che la bauta si rivelava il travestimento perfetto, proprio perché rendeva tutti uguali. Era indossata da ricchi e poveri, uomini e donne, aristocratici, borghesi e religiosi, che si confondevano celando la propria identità. Non c’è da sorprendersi dunque che questo sia diventato il più famoso tra i travestimenti in uso nel Settecento a Venezia.

La bauta: etimologia e pronuncia

La bauta non era l’unico costume del Carnevale di Venezia ma ne divenne pian piano il simbolo. La parola bauta o bautta si pronuncia con l’accento sulla ‘u’. La sua etimologia è incerta. Una prima teoria la fa derivare dal tedesco behüten che significa ‘proteggere’, ‘custodire’. Una seconda invece da bau, il verso per spaventare i bambini. Una terza invece da bava intesa come ‘bavaglio’. 

La bauta, maschera e costume

Quando si parla di bauta dobbiamo distinguere la maschera dal costume. La bauta infatti nasce come costume composto da più elementi. Il primo era la maschera vera e propria, spesso bianca e raramente nera, chiamata larva o volto. Poi il tricorno, un cappello nero a tre punte. Infine lo zendale, uno scialle leggero di seta o di pizzo che copriva la testa e le spalle.

Con questo mascheramento il volto era completamente nascosto, inclusa la testa con i capelli e le spalle. Se ci aggiungiamo un lungo mantello nero, il tabarro, che copriva tutta la figura fino ai piedi, la trasformazione era totale. 

Questo travestimento ha dato poi il nome alla maschera, la larva o volto di cui sopra, che ora chiamiamo bauta. Era la maschera perfetta, per vari motivi. Nascondeva tutto il volto e la sua forma allargata nella parte inferiore consentiva di portare il mangiare alla bocca, permettendo a chi partecipava ad un banchetto di non doverla togliere. 

Inoltre formava una piccola cassa armonica che alterava leggermente la voce, così da consentire di sussurrare qualche parola senza far capire a chi appartenesse la voce. Si poteva quindi scegliere quanto e cosa rivelare fino a quando si decideva che fosse arrivato il momento di svelare la propria identità.

Anonimato e trasgressione nella Venezia del Settecento

Proviamo ad immaginare la scena. Figure nere avvolte nei loro tabarri e con il viso nascosto dalla maschera, tutte uguali, che scendono da una gondola. Camminano ondeggiando tra le calli avvolte nella nebbia ed entrano in un palazzo illuminato dalle candele. Si levano il mantello svelando qualcosa di sé dagli abiti che indossano e dalla forma del corpo che si intuisce sotto i vestiti.

Si scrutano a vicenda attraverso le fessure della maschera cercando di indovinare chi si nasconde dietro la figura che li sta osservando. C’è la paura dello sconosciuto ma è un confronto ad armi pari in cui ognuno decide se e quando rivelarsi. E la serata può iniziare.

Solo il Carnevale consentiva di vivere situazioni come queste, irresistibili agli occhi dei visitatori stranieri che impazzivano all’idea di poter vivere in pieno quest’atmosfera irreale. Il fascino di una città sospesa tra terra e acqua si univa alla trasgressione resa possibile dalla bauta, che ancora oggi è uno dei simboli del Settecento veneziano.  

 

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Immagine di copertina: xxxmax by Pixabay